Un passaggio di testimone silenzioso, atteso e insieme spiazzante: a Milton Keynes si chiude una stagione di controllo carismatico e si apre una fase più metodica, con il vivaio Red Bull in mano a chi, per anni, ha guidato la voce nelle cuffie dei campioni. Il paddock lo sussurra da tempo: è finita un’era. Non solo per le gerarchie interne, ma per lo sguardo con cui Red Bull seleziona, forma e promuove i suoi piloti. Prima di arrivare al punto, vale una pausa. Questo programma giovani ha costruito strade reali verso la Formula 1. Non promesse.
I numeri parlano. Dal 2005, il Red Bull Junior Team ha portato in cima nomi come Sebastian Vettel, Max Verstappen e una serie continua di esordi: Daniel Ricciardo, Carlos Sainz, Pierre Gasly, Alex Albon, Yuki Tsunoda. Scelte dure, a volte spietate, hanno accelerato carriere e tagliato rami secchi. È parte del DNA.
Qui entra il ricordo. Chi ha seguito quei team radio tra il 2010 e il 2013 ricorda la voce calma di Guillaume “Rocky” Rocquelin con Vettel. Frasi brevi, istruzioni chiare, zero fronzoli. Efficacia prima del rumore. Non sorprende che, dal 2022, “Rocky” sia passato a guidare operativamente l’Academy. La transizione culturale è cominciata lì, lontano dai riflettori.
Il punto centrale è questo: l’era “one-man gatekeeper” di Helmut Marko si chiude, o comunque si ritrae. Sulla governance precisa non esistono, al momento della stesura, dettagli ufficiali pubblici; Red Bull non ha diffuso comunicati che definiscano nel merito i confini del nuovo assetto. Ma il segnale è chiaro: il timone quotidiano del vivaio è nelle mani di Rocquelin, con un metodo meno istintivo e più misurabile.
Tradotto: più dati, più simulatore, più feedback incrociati tra RB e il team campione del mondo. Le valutazioni non si fermano alla velocità pura. Si tracciano curve d’apprendimento, consistenza sul passo gara, gestione gomme, tempi di reazione ai run plan. È uno stile “ingegneristico”, coerente con la Red Bull che costruisce in casa la power unit 2026 con Ford: integrare il pilota nel progetto tecnico, non solo metterlo al volante.
Meno “mordi e fuggi”, più compatibilità di medio periodo. Piloti con sensibilità tecnica, capacità di lavorare sul degrado, gestione del traffico in qualifica. E carattere, sì, ma incanalato. Il riciclo rapido non sparisce, perché l’identità Red Bull è quella; diventa però un filtro con più indicatori e meno pancia.
C’è anche un tema di immagine. Dopo anni di decisioni coraggiose, il vivaio si allinea alla reputazione di un’organizzazione che oggi vince tanto quanto documenta. Meno romanticismo, più protocollo. Non scalda, ma funziona.
Alla fine, resta una domanda semplice. In una Formula 1 che misura tutto, quanto spazio lasciamo all’intuito di chi riconosce il fuoco negli occhi? Forse la risposta è nella voce di “Rocky”: poche parole, giuste. E la macchina che, giro dopo giro, diventa un’estensione del pilota. Non è questo, in fondo, il vero talento?
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