Un Presidente Sotto Tiro, un’Elezione Discussa, una Mappa del Potere che Passa per Scali Lunghi e Sale Riunioni Periferiche
Ben Sulayem risponde alle accuse di manipolazione elettorale: “Gli avversari dovevano viaggiare in Sudamerica per ottenere sostegno”
Contesto: Accusa e Metodo
Da settimane rimbalzano accuse di presunta manipolazione elettorale nelle dinamiche che hanno portato alla riconferma del presidente della FIA. Non ci sono, al momento, prove pubbliche definitive a supporto di queste affermazioni: i riscontri disponibili parlano di verifiche interne e di posizioni contrastanti tra alcuni club nazionali. Qui un punto fermo esiste: le elezioni della FIA si svolgono in Assemblea Generale, con voto segreto dei club membri, secondo Statuti e Regolamenti consultabili sul sito ufficiale. La federazione raggruppa oltre 240 organizzazioni in più di 140 Paesi, una platea vasta e frammentata per interessi, geografia e priorità.
Per capire la polemica bisogna guardare al terreno, non ai comunicati. Nelle ultime tornate, i candidati hanno costruito consenso incontrando le federazioni nazionali regione per regione. È storia recente e documentata: viaggi, assemblee, presentazioni di programmi. Nel 2009, per dire, la sfida tra Jean Todt e Ari Vatanen passò anche per tour capillari presso gli ASN; nel 2021, l’elezione di Ben Sulayem fu preceduta da un intenso ciclo di consultazioni. Il sistema, piaccia o no, premia la prossimità.
Il Contesto Elettorale
La geografia del voto FIA non è un dettaglio. L’area Américas – che comprende Nord, Centro e Sudamerica – riunisce decine di club sportivi e della mobilità, con sensibilità diverse tra Caribe, Ande e Cono Sud. Qui il numero di delegati è significativo e il capitale relazionale vale come una valuta. I club guardano a temi concreti: sicurezza, calendari nazionali, formazione dei commissari, budget. È su questi dossier che si gioca il consenso.
Arrivati a questo punto entra la replica che ha acceso la discussione. “Gli avversari dovevano viaggiare in Sudamerica per ottenere sostegno”. La frase di Ben Sulayem non è solo un contrattacco. È una lettura brutale del meccanismo: senza una vera campagna elettorale sul campo, soprattutto nelle aree decisive, non si costruisce una maggioranza. È cinismo o trasparenza? Dipende da come la si guarda. In molti ambienti del motorsport latinoamericano, la presenza di persona conta più di una lettera di intenti. Una visita a Buenos Aires o São Paulo, un workshop con i dirigenti locali, spesso fa la differenza rispetto a una call.
La Replica e le Verifiche
Sul fronte delle accuse, resta il nodo: esistono elementi verificabili di condotte scorrette? Al momento, fonti ufficiali non hanno pubblicato documenti che attestino violazioni delle regole di voto. Gli Statuti prevedono strumenti di controllo, ricorsi e interventi dell’organo etico; quando emergono, i relativi esiti vengono comunicati con atti formali. Fino ad allora, siamo nel campo delle contestazioni politiche e delle percezioni. È scomodo, ma è onesto dirlo.
Un dato operativo, invece, è chiaro: il voto segreto tutela i club ma rende opaco il tracciato del consenso. Qui sta il paradosso. La richiesta di trasparenza convive con l’anonimato necessario a proteggere i delegati. Si può migliorare? Sì, ad esempio pubblicando indicatori aggregati per regione o calendari minimi di confronto pubblico tra candidati, come avviene in altre federazioni sportive internazionali.
Il resto è viaggio e pazienza. La politica dello sport, da Parigi a Lima, resta una pratica di presenza. Conta ancora la stretta di mano, nel 2025, più di un PDF ben scritto? La risposta, forse, è nel biglietto aereo prossimo venturo: chi salirà su quel volo, e per parlare di cosa?





